Fabiola Pedrazzini

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Fabiola Pedrazzini, bravissima designer milanese, è stata per me una doppia soddisfazione.

E' stato bello raccontarla ma ancor più galvanizzante è stato sapere che, dopo l'uscita del pezzo e non certo per questo, ha vinto il concorso internazionale per il quale, unica italiana in finale, gareggiava.

Nello specifico: The Fifth Independent Handbag Designer Awards. Fabiola ha gareggiato nella categoria Best Handbag in Overall Style and Design.

Zilla

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I materiali rubati alle case diventano le fondamenta per la costruzione di mobil-home, specchio di una femminilità a portata di mano ... 
... continua

Silvia Mazzoli


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Questo è stato il primo sì ricevuto, firmato da me.

Silvia Mazzoli è una ragazza pesarese che ho conosciuto qualche anno fa.
A Milano ci siamo incontrate al parco Solari.

Cavalcare l'onda

Ecco. Non è che io sia maga pronta nel cavalcare l’onda.
Nel cogliere in un attimo “l’attimo”.
A dire il vero, io sono sempre stata il contrario.
Un po’ troppo riflessiva.
Un po’ troppo scrupolosa.
Brava a centellinare, non chiedere, evitare.
Per pentirsi dopo.
Una bilancia equilibrata che annaspa punzecchiata dall’ascendente in scorpione.
Di qualcosa mi pento ancora oggi a distanza di intermezzi musicali.

Al contrario, delle volte in un mentre, s’accende una lampadina e arriva l’impulso.
Che non è detto sia quello che aspettavi o in cui credevi ma è pur sempre l’onda anomala che ti fa fare un balzo in avanti.

Crescendo non lo so se le aspettative si alzano o si abbassano.
Direi di getto la seconda, ma quando mi specchio capisco che, a conti fatti, di aspettative ne ho sempre parecchie.
Anche quando credo sia il contrario.

Mesi fa ho pensato che potessi provarci, a propormi.
A crearmi l’aspettativa in più, mista ad illusione, che se s’avvera, tale non è più.

La mia posizione e non lo dico con protervia mi ha permesso di sortire risposte, poter avanzare proposte, costruirmi un ponte da attraversare, non dico con facilità estrema, ma con grazia.
Una grazia che ti viene concessa solo se hai già, in un modo qualsiasi, un contatto reale o contatti di un certo tipo.

Altrimenti, se succede ma non appartieni alle categorie di sopra, può significare solo due cose: o sei “fortunatissima di una fortuna che non guarda in faccia nessuno” o sei “un mostro di bravura che come te non ce n’è”.

Io non sono particolarmente fortunata e nemmeno un genio compreso.
Sono una che si è trovata qui, e adesso non indaghiamo il caso e tutte le alternative chiamate coincidenza, destino, termini vari da poesia romantica dell’800.

Scrivere per me è quel tanto che fa tutto.
E un giorno ho raccolto tante proposte da centellinare nel caso avesse iniziato a girare qualcosa.
Dalla mia parte ho trovato chi mi ha accolta, quasi presa per mano nell’incitarmi a farlo.
Le persone a dire il vero sono un paio, di altri grazie non ne devo dire.
E dopo un attacco di no, sono arrivati i sì.

Il primo sì è stato che quasi non ci credevo.
E ogni sì, anche se non so fino a quando dureranno e se ce ne saranno quanti ne voglio, è una goccia.

Mi piace raccontare.
Mi piace avere la possibilità di tessere le trame basiche per chi leggerà la storia che racconto.
E così, anche se mi piacerebbe parlare di cose impegnate, perché sono noiosa e mentale, mi accontento, ma lo dico con un sorriso grande, di raccontare per Vogue.it i primi passi di talenti legati alla moda, intervallando magari con qualche cenno su musica o eventi.

Cose così.
Leggere ma non per questo prive di risvolti interessanti.
Di modalità di racconto divertenti, stimolanti.
Questo è il mio inizio e a me piace.
Seppure vorrei fosse più veloce, meno scattoso.
Quando parto, cammino veloce.


...continua

Dicevo: ...continua.

E allora penso che il mio studio sia forse uno tra i più belli, non dico del mondo, ma di Milano.
Certo sei mesi e mezzo di stage sono duri a morire.

Quando fai uno stage servi ma non hai una funzione propria.
E' come se non avessi confini, limiti, tratti distintivi.
Personalità?

Sei qualcuno. Forse qualcosa.
Ma chi e cosa?

Quando entro in un luogo a me nuovo lo faccio in punta di piedi.
Timidezza, discrezione, non lo so.
Io arrivo sul lungo tempo che se mi conosci oggi potrei essere in un modo che dopo mesi diventa l'opposto.
Ci vuole pazienza, meglio detta curiosità di scoperta.

So che in quei mesi non ero certo quella che le persone, che mi vedono ogni giorno oggi, pensano e so che quei mesi sono stati una scuola.
Una prova.
E l'ho vinta.

E allora penso che il mio studio sia forse uno tra i più belli, non dico del mondo, ma di Milano.

E' un open space che a volte sembra una casa.
Dove si lavora tutti intorno ad un tavolo forato al centro.
Con la propria postazione fissa e il proprio Mac.
Il tavolo del pranzo e la cucina.
La musica.
La televisione in casi eccezionali, tipo durante i mondiali.
Le risate e perché no le incomprensioni, i brutti musi ... e quei termini propri che differenziano un lavoro da un altro.
Server, Dse, Admin, dida, temporizzazione ... 

E allora penso che il mio studio sia forse uno tra i più belli, non dico del mondo, ma di Milano.
Non troppo inflessibile e piegato alle particolarità di ognuno.
Strambe e varie.

Il primo aprile 2010 ho firmato il contratto.
No, non è uno scherzo.

Il primo aprile 2010 ho firmato il contratto.
Ed è come se un filo si fosse sbracciato tra me e il mondo, intendo tra me e il mondo del lavoro.

Quel giorno sono diventata la responsabile dell'inserimento della parte contenutistica del sito Vogue.it
Non saprei in quale altro modo spiegarmi.
Quindi e-mail come pioggia battente, telefono che squilla o chiama la redazione, planning da seguire.
I canali - magazine, trends, talents, beauty, stars ... - che si alternano con priorità variabile.

Fiato sul collo delle volte e c'è da dire che se tutto è più calmo io mi annoio.

Quel giorno si è aperta una porta.
No, non mi riferisco alla porta di sotto, aperta da mesi perché rotta.
Parlo di un ingresso immaginario.
Prendila come un arco sotto al quale poter passare, indisturbata.
No, non è nemmeno l'arco delle parole sospese di una volta.
Chiamiamola possibilità.
Che forse si capisce meglio.

Ricomincio:
quel giorno si è presentata una possibilità che nel tempo ho colto.

...continua

Muovere i primi passi

Nel 2011 poter dire con sicurezza: "Ho un lavoro!" non è cosa da poco.
Certo la scalata al successo in termini di soldi, fama, tempo speso in altro, piaceri, vizi e sfizi è altra cosa.
Ma se si deve volare bassi, perché al volare troppo in alto con desideri e richieste io sono contraria e ci si fa parecchio male, non mi posso riempire di lamenti.


Non credo che non si debba sognare, sia chiaro.
Io sono ambiziosa e anche un po' competitiva che non ha mai fatto male a nessuno.
Ma non amo i voli pindarici senza un po' di fatica alle spalle.
Mi piace conquistarmele le cose perché, seppur non sempre, credo di meritarmele.
Non sono la più brava e nemmeno la più bella ma ho passione, costanza e pazienza per quella che è la costruzione di quello che vorrei diventasse il mio mestiere, della vita e per la vita.


Da bambina ero divisa tra il voler diventare maestra d'asilo nido per l'immenso amore da sempre avuto verso i bimbetti e trasformarmi in una ballerina vivente sulle punte per un altro immenso amore, neanche a dirlo, la danza.


A 16 anni ho capito che non avrei fatto nessuna delle due cose.
E ho optato per un campo vagamente più intellettuale.


Sinceramente non ricordo quale sia stata la spinta, la molla, lo schiaffo.
Anche perché nulla di quello che facevo a scuola poteva presagire una riuscita in determinati campi.
"E' intelligente, ma non si applica, non ha costanza, potrebbe dare di più, è assente".
A cantilena, neanche fossero poesie da imparare a memoria.


E tutti che ti inseguono per dirti di abbandonare certe strade, che tanto non ce la fai.
Se non te lo dicono, te lo fanno capire con gli occhi.
Gesti di malizia.


Due estati fa, faceva caldo, ero all'estero, masticavo km.
Arriva una telefonata, poi un sms.
Era una persona carina che avevo conosciuto facendo uno di quei lavori che si fanno per metter da parte due lire e sentirsi meramente utili, in movimento.
Eravamo rimaste in contatto ma non credevo che avremmo iniziato a vederci tutti i giorni, per ore, a colazione, pranzo, merenda.


Bene, mi fissa un appuntamento per settembre in quello che è lo studio in cui lavora.
Non so esattamente perché io e non altre.
Credo sempre che le persone ad un certo punto si dimentichino di me.
Non sono una di quelle che fa la qualunque cosa per essere ricordata.
Sono stata smentita.


Quel settembre arriva, 8 settembre 2009.
Arrivo anch'io.


Dal 14 settembre divento una presenza fissa, certa.
O meglio una stagista schiva.


...continua

La parte I di un atto II

Ricominciare da me significa ricordare chi ero prima del punto.
Aprire una mano e vedere che cosa è rimasto stretto e dentro.
E in cosa si è trasformato col moto dei tempi.


Anni fa ero una studentessa di Linguaggi dei Media.
Lo scrivo maiuscolo che fa più scena.
Se apro una mano trovo che lo sono ancora oggi.
Perchè se le cose subiscono modifiche non possono trasformarsi in miracoli.
Mi mancano sei esami, e li conto, e uno, e due, e tre, e quattro, e cinque, e sei e muoviti.

Perchè poi la scelta di studiare il linguaggio di macchine infernali?
Per diventarne un ingranaggio. Certo.
Un piccolo tassello di quelli che ogni giorno raccontano storie.
No, si dice: "informano!".
Si, insomma, una giornalista ... come se non ce ne fossero già troppe e troppi.
E sempre di più.


Uno di questi si chiama Emilio Carelli e, anni fa, è stato uno dei miei docenti.
Ma ancora prima è stato uno dei fondatori del Tg5 e direttore di TgCom, testata Mediaset che si occupa di Internet e Teletex.


La sua materia si chiamava e si chiama "Teorie e tecniche dell'informazione online" e gran parte del lavoro verteva sulla fabbricazione di un "diario online".
La parola blog circolava come il sangue, necessaria per comprendere un meccanismo che si stava radicando.
E che, in particolar modo, con la tragedia dell'11 settembre trovò una ragione reale di esistere.
Nasceva la figura del reporter diffuso e questo dovevamo diventare per il nostro esame.
E' stato forse il passaggio più pratico che l'università mi ha offerto.
Ma all'inizio fu una grande prova di smascheramento.
Ricordo il primo post online, il batticuore, è strano da far credere.
Se mi si conosce oggi e mi si trova spavalda.
Si è trasformato con gli anni in un bellissimo passatempo, in una sorta di terapia della scrittura, in un movimento non più meccanico ma liberatorio.

L'esame lo passai bene.
Il blog ha vissuto per anni, ma poi ho deciso di farlo fuori come si fa con quelle cose che iniziano a starti strette e soffochi.
Troppe cose scritte che non mi andava più di leggere.
Troppe presenze assenze.
Voglia di spegnere i riflettori.
Uccidere la luce.
Vivere silente.
Chiudere porte.
Cancellare tutto quello rintracciabile.
Dedicarmi ad altro.


Ricomincio da qui

Dal punto come l'avevo messo. Alla fine di una frase.
Dagli anni passati, trave storta di quell'allora che si specchia ma non si vede. Più.
Dalle cose che non ricordo e da quelle che non dimentico.
Dall'amore fottuto e immenso per il mettere insieme catastrofi di parole, a fiume.
Dall'improvviso silenzio. Che a momenti mi irretisce.
Dalla tua faccia che non vedo davanti e sempre cerco con la coda degli occhi e da quelle di facce che si girano per non dovere salutare.
Dai riferimenti più o meno imprecisi. Che a volte, te lo dico, sono messaggi subliminali coperti di polvere del mattino.
Dalle circostanze che cambiano non dandoti sempre una forma migliore.
Dal giorno che a volte vorrei fosse la notte.
Dalla notte che se poi non riesci a prendere sonno tanto vale che si trasformi in giorno, in altro, domani.
Dalle volte che ci ho pensato e ci penso, e ancora e dai.
Da una mano che si tende e l'altra che si arrende.
Da una domanda all'aria.
Da una risposta che non arriva, da una che t'illude, da una che t'opprime e l'altra che era una bugia.
Da una consolazione che è un premio per dire gentilmente che non ce l'hai fatta.
Da un miraggio che ti fa sgranare gli occhi per dire poi tanto lo sapevo.
Dalla gente passata. Che se n'è andata.
Da quella arrivata. Che invece rimane. Forse.
Dai punti fermi e le mani morte.
Ricomincio da me. Sempre meglio che ricominciare altrove.