Climax discendente

Che se ogni promessa è un debito mi sei debitrice.
Ma è un debito che non si salda.
Insaldabile e impagabile.
Che non ti svuota le tasche.
E non ti riempie i pantaloni.
Infatti è in stasi, teso e morto, in un movimento lindo e pulito di niente.

Che non c’è da incrociar dita e pregare il signore.
Far virare gli occhi in attesa di un cenno, che tanto sarebbe sberleffo.

E allora mi piego, mi inchino, mi siedo e mi sdraio.
Che tanto non ho fretta e nulla aspetto.

E se mi chiami non ti sento.
E se mi vedi guardo altrove.
E se mi cerchi non mi trovo. 


...
e se ti cerco … nemmeno mi trovo.


Carlo Vive ?

Il 20 luglio 2001, a Genova, durante le giornate del G8, viene ucciso Carlo Giuliani, anni 23.

Il 20 luglio 2001, a Genova, durante gli scontri del G8, il carabiniere Mario Placanica, anni 20,  esplode due colpi di pistola e con uno di questi colpisce allo zigomo Carlo, che muore pochi minuti dopo.

Non è opinabile il termine che indica l'azione, e quindi UCCIDE, perchè così è stato. 
Carlo non è morto per malore, malattia, suicidio... Carlo è stato ucciso.
Perchè se io ti punto e sparo e tu muori, beh, io ti ho ucciso.
Questione di logica.
Come la matematica.

Carlo è, steso, a terra.
La camionetta gli passa sopra due volte, avanti e indietro.
Senza sapere se è vivo, se è morto.
La faccia guarda in su.
Le gambe sono larghe.
Intorno al braccio ha un rotolo di cerotto.
Ha scarpe da trekking.
E sotto i pantaloni indossa il costume.
Carlo stava andando al mare.

« Bastardo! Lo hai ucciso tu, lo hai ucciso! Bastardo! Tu l'hai ucciso, col tuo sasso, pezzo di merda! Col tuo sasso l'hai ucciso! Prendetelo! ».

Queste le parole che escono dalla bocca del Vicequestore Adriano Lauro, le urla contro un dimostrante che verrà poi fintamente inseguito per alcuni metri.
Tentativo magro di far sembrare le forze dell'ordine estranee ai fatti.

Il resto è storia.
Una storia a mio avviso triste.
Di quella tristezza amara, rugosa, maledetta.

Proverò a dire.
Ma questo pezzo di una giornata di storia è pesante.
Intriso di sangue e sbagli che grondano.

Per me Carlo Giuliani non è un eroe.
Inizio così.
Che siamo chiari da subito.
Perchè i pensieri già li sento che mi guardano come a dire "questa è pazza!".
Lo difende.
Lo giustifica.
Io con un estintore lì non ci sarei mai stata e infatti non c'ero.

Certo, poteva decidere di restare a casa sua o, meglio, proseguire per il mare come aveva in mente di fare.
Ma no, lui era lì, aveva cambiato idea, e teneva sollevato un estintore.
Non sapremo mai, se, davvero, l'avrebbe lanciato.
No, non lo sapete ed è inutile insistere.
Sarebbe rimasto in aria, sarebbe stato ributtato a terra, sarebbe stato lanciato contro la camionetta?

Sfido chiunque, santi in terra non ce ne sono, a non aver mai fatto atti ingiustificati e magari ingiustificabili.
Scelte pericolose.
Se ci pensi, almeno, una e dico una e non di più, di queste risposte, un esempio in mente ti torna.
Però spunta solenne la frase-sentenza che ognuno deve prendersi la responsabilità di ciò che fa e bla, bla, bla.
Quindi uno paga con la vita?
Voi avete pagato con la vita?

Quindi dopo che è morto cosa fai?
Tipo che inizi a sputargli addosso, a spegnerli sigarette addosso, magari lo prendi a calci.
Che ti frega?

Aveva solo 23 anni.

Io lo ribadisco che lì con un estintore all'aria non ci sarei stata e infatti non c'ero.
E Carlo non l'ho mai conosciuto.
E non lo conoscerò mai.
E penso a suo nonno che per anni è stato alla Casa Verdi, la Fondazione Casa dei Musicisti, qui a Milano, in Buonarroti.
Carlo è morto prima di lui.
Il nonno che sopravvive al nipote.
Al nipote che muore morto ammazzato.

Mario Placanica aveva 20 anni.
Mario Placanica era incredibilmente giovane, più giovane di Carlo Giuliani.
Il carabiniere che deve difendere la fortezza genovese è più giovane del manifestante anarco-insurrezionalista.
Uso queste parole ridondanti che piacciono tanto ai Tg e alle forze dell'ordine.
Sorrido ma è amarezza.

Mario Placanica è stato vittima forse quanto Carlo.
Ma non vittima di Carlo.
Solo che non è morto.

La colpa arriva dall'alto.
Intendiamoci: le forze dell'ordine al G8 hanno fatto un bordello indescrivibile.
Hanno fatto schifo.
Peggio che schifo.
Hanno chiuso gli occhi e menato le mani.
Non si può fare di tutta l'erba un fascio. 
E' vero, hai ragione.
E allora me lo spieghi tu perchè loro l'hanno fatto?

L'inghippo viene dall'alto.
Dai cosiddetti poteri forti.
Molti dopo il G8 sono saliti di grado. Che sembra una beffa.

Chi ce li ha messi i ragazzini a giocare ai difensori della legalità-della giustizia?
Chi l'ha scelta Genova come città per un evento del genere?

Carlo e Mario sono due facce della stessa medaglia.
Uno è morto.
L'altro avrà per la vita un morto addosso.

Nessuno dei due è direttamente colpevole.
Nessuno dei due è un eroe.

Carlo è diventato e resta un simbolo.
Carlo ha pagato gli errori degli altri e per altri.
Carlo è stato quello che per qualcuno doveva succedere ed è così che è successo.
Io penso che un morto in qualche modo l'avessero programmato.

E non contenti ecco la Diaz.
Ecco Bolzaneto.
Ecco gli impavidi giustizieri.
Eccola l'arroganza.
Il potere del potere.

A Carlo oggi chiederei cosa è stato, quel giorno, a fargli abbandonare l'idea del mare.
Andare in quella piazza, che era Piazza Alimonda.

A Carlo chiederei se ne è valsa la pena...
...e gli chiederei da dove nasce la passione per il latino e la scrittura.

A Mario chiederei chi ha pagato.
E poi gli chiederei comunque il silenzio.

Per tutti gli altri tronfi e gonfi, per loro, a loro, riserverei lo stesso trattamento di quei giorni, di quelle notti.
E più in alto ancora, lo stesso e peggio.

Leggo spesso sui muri: nomi di ragazzi come Carlo, che non ci sono più per "ragioni d'ordine", seguiti da Vive.

Carlo no, non vive, non più.
Perchè il potere mascherato l'ha fatto fuori.
Lui, un numero qualsiasi, con un qualsiasi colore d'occhi e di capelli.

Carlo non vive per una come me che non crede ad altro e a nulla, dopo.

Vive un ricordo.
Per chi lo ricorda.
Vive un insegnamento.
Uno qualunque.
Con la forma di una Genova a ferro e fuoco.
E se ognuno ne riuscisse ad estrarre almeno uno ed uno solo sarebbe già un grande sforzo d'amore e di comprensione.
E così Carlo che non vive, vivrebbe ancora, almeno un momento.

Luglio 2001 - Luglio 2011

Qui posso fare riflessioni più degne di altrove.
Qui posso permettermi di dire e di allungarmi.

Dieci anni passano, per tutti e tutto.
Che delle volte è come se ad essersene andato fosse uno ed uno solo di quei giorni.

Avere 18 anni a Milano, oggi, non so cosa sia.
So che quei dieci anni fa, a luglio, ero io ad averne così pochi, davvero innocenti di anni.

Ho iniziato il liceo in scuola statale ma dopo pochi anni sono finita in altre tre scuole, tutte, private.
Dove non esiste un sentire politico, un'idea che spacchi i muri.
Esiste certo il conformismo, al quale, anche io, lo dico tranquillamente, volevo appartenere.
Tipo "voler apparire che ad essere ci pensiamo domani".
(Ho amato le mie scuole ma per altri motivi e non questi).
Ero troppo ancora nulla per capire che il bello sta nel non essere il tutto che si vuole o vorrebbe essere.
Non ero sciocca, ero semplicemente un'insicura cronica.
Che temeva che nemmeno la propria ombra fosse all'altezza.

Quando andavo al Vittorio Veneto, il mio primo liceo statale e sofferente, esistevano i collettivi di sinistra, autogestioni e occupazioni.
Esistevano ragazzi cosi urlanti e convinti che io li stimavo per la radicalità di avere un'idea ed esprimerla, io quando ce l'avevo me la tenevo stretta nel cassetto e avrei voluto avere la loro forma, così decisa e così chiassosa.
Stimavo in particolare una compagna di classe, che se legge magari si riconosce, prima o poi credo di averglielo detto, brava in tutto, non più di altre, ma il giusto.
Sapeva tante cose e io mi chiedevo come si potesse sapere tutto quello a soli 14 anni.

Tante volte avrei voluto avere uno dei loro scudi immaginari.
Io non avevo la loro grinta, le chiavi a ciondoloni dai passanti dei pantaloni strascicati per terra, non avevo la conoscenza di termini strani, tipo COERCIZIONE, che suonavano belli e pieni.
Stavo al mio posto, trattenevo la voce.

Da qui me ne sono andata dopo due anni.
Meglio così, lo dico oggi.

A diciotto anni stavo già traslocando mentalmente nell'ultima scuola.
La quarta, tra tutte.
Sono stata nomade in questo, la cosa più gitana che ho fatto ( a parte una vacanza in Montenegro ).

L'estate dell'2001 segna per tante cose il mio spartitraffico.
E' anche Genova, il G8 di Genova, a segnare la separazione di qualcosa.
C'è necessariamente un prima e un dopo, Genova.

Nella mia testa separa me di prima da me di dopo.
Mi fa capire che non è peccato provare a dire-farsi sentire.
Mi fa piano e pianissimo iniziare a prendere peso, corpo, sostanza.
Mi regala una forza che non presenterò a tutti ma che non so perchè proprio allora.
E' da lì che riconosco di essere più vicina ai primi che ho incontrato e non ai secondi.
O meglio  mi fa capire che posso stare bene con tutti e due ma che devo far sentire le mie differenze e diffidenze.

Ho discusso con tante persone parlando di Genova.
Delle volte sono troppo radicale e radicata nelle mie posizioni.
Ma ho imparato ad avere un'idea e oggi la difendo eccome.
La sbandiero e la accarezzo, perchè sono io.

Genova non è stata solo Carlo Giuliani, genova è stata la Diaz ed è stata Bolzaneto.
Genova è stata una città fatta distruggere e patti non rispettati, tra manifestanti delle tute bianche e forze dell'ordine ( che delle volte storpio con la parola disordine ).
Genova è stata che il marcio c'è ovunque ma bisogna riconoscerlo, non farne un cumulo comune perchè tanto chi se ne frega e quindi pagano tutti.
Genova è stata una fortezza per i potenti e il terremoto per i comuni, che siamo noi, io e tu, noi, loro e tutti gli altri.
Perchè quel giorno avremmo potuto esserci pure noi ma non per questo avremmo meritato le botte e il sangue.
I denti rotti, gli sputi in faccia, le teste messe dentro ai cessi di una caserma per sentirci dare delle puttane.

Genova è stata tante cose e io ogni volta che ci penso mi arrabbio e mi attorciglio.
Ho sentito tanti racconti.
Ho letto libri.
Custodisco una raccolta di CD che passano le radio di quei giorni.
Che fanno sentire le cariche. Le marce. I manganelli.

Genova è entrata nella storia, un evento indimenticabile dal colore rosso.
Non è il rosso dei compagni, no, non ho mai amato esprimermi secondo un codice.
E' il rosso del sangue sparso e gratuito.
Non di Carlo Giuliani, ma mi viene da dire anche.
Questo però lo trovo un capitolo a parte.
E ho paura a toccarlo.

Io grazie e con il G8 di Genova sono cresciuta.
E io che non c'ero e chi invece c'era ce lo ricorderemo per sempre.

Ricorderò anche il frame di Piazza S.Babila a pochi giorni dalla fine della battaglia a mano armata.

Genova è lo spaccato di un momento che porta dentro, come fosse una vertebra dimenticata, il tessuto di anni ormai lontani in cui capitava che i giovani si facessero sentire e avessero idee forti e belle.
Il tonfo che c'è stato non mi farà mai ricredere sulle buone intenzioni che c'erano.
Doveva essere una danza corale, non vestita di nero, non scandita da marce.

Tutto il resto è storia.
Per libri, tribunali e memoria.

Tratto da "La ferita" di Marco Imarisio
"Nessuno ne risponderà, negli anni a venire. Eppure la carica di via Tolemaide segna uno spartiacque nella storia del G8. C’è un prima, con una gestione dell’ordine pubblico leggera – così discreta da lasciare spazio alla follia dei Black Bloc –, e un dopo, fatto della violenza che riempirà quel pomeriggio, la manifestazione del giorno seguente e la notte della Diaz. Mancano cinquecento metri all’arrivo del corteo partito dallo stadio Carlini e guidato, almeno nominalmente, dalle Tute bianche. Hanno in tasca un accordo con le autorità: raggiungere le barriere della zona rossa, farle scavalcare da un paio di manifestanti, tornare indietro. Sarebbe dovuta andare così, nessuno ne faceva mistero, ce lo aveva anche confermato il colonnello Tesser in quella esibizione di granitiche certezze al bar dell’hotel".


"Ci sono stati processi, anche Michael Covell è tornato a Genova. Alcune responsabilità sono state accertate. Perché vennero dati quegli ordini, chi li diede esattamente, non si è mai capito. Negli anni recenti mai come in quei giorni di Genova la democrazia italiana si incrinò, barcollò, perse senso e coscienza. Quelle ore furono di democrazia sospesa. Sono passati dieci anni, è ora di ripensare a quei giorni, di riparlarne, di assumersi responsabilità, da parte di tutti: di chi gestiva l’ordine pubblico e di chi, dalla parte di chi protestava contro il G8, non seppe capire che cosa sarebbe successo, non riuscì a controllarlo e a fermarlo".

Home Textile Emporium by Lisa Corti

Ogni suo pezzo è un’opera d’arte perché unico e solo. Le sue creature sono oramai sparse in giro per il mondo, da Milano si arriva a Firenze, Roma, Istanbul. Anche negli Stati Uniti ora è possibile incontrare agrumeti, arazzi e tappeti d’aria bizantina, antica tradizione decorativa e il mercato di Keren ...


C.B. Made in Italy

Più spesso accade che si guardi dall'alto al basso.
Ma succede anche che le persone le si guardi al contrario, ossia dal basso verso l'alto.
E quindi cosa vedi per prima cosa?
Qual'è il dettaglio che subito salta all'occhio?

Direi i piedi.
Ma è ancora quasi certo che si vada in giro con le scarpe.
E allora dico: le scarpe.

Ultimamente mi capita di incontrarle parecchio e di discuterne.
Parlo delle C.B. Made in Italy (Clicca sul brand per entrare nel sito).
Una linea di mocassini, e non solo, curata nel dettaglio, in morbidissima pelle, camoscio o jersey.

Nascono dalla mente e dall'intraprendenza di Cecilia Bringheli, giovane ragazza milanese, bella quanto capace di mettere in moto una "controtendenza".
Quella di far scendere le donne dai trampoli per essere piacenti ed eleganti, anche, se non addirittura di più, su base piatta.

Personalmente indosso pochissimo i tacchi e solo di sera, quando capita.
Li compro, li guardo, mi piacciono e poi mi dico che non sono per una come me che ama la comodità e non riesce a stare per più di 5 minuti impettita.

Cecilia offre un'alternativa interessante che si sta espandendo a macchia d'olio, conquistando le più, o comunque le molte.

Un'antidoto contro pavé, san pietrini, lunghe camminate, viaggi sui mezzi, caldo e voglia di poter farsi una corsa all'improvviso.

Io ho il mio paio di C.B.
Se così non fosse non direi che la pelle è morbidissima.
Devo toccare con mano prima di credere alle pubblicità ad effetto.

Da qualche giorno mi sono innamorata però della versione floreale.
Una delle creazioni più recenti.
Così ho preso le mie C.B. in pelle marrone e guardandole maliziosa ho spiegato loro che ho un terribile debole per il mood "Flower Power"e che espandersi non significa tradire.

 
Se entreranno in casa, perchè l'idea è di questa intensità, le spaccerò per ospiti.
Col tempo le ostilità verranno meno. 


Syria scrive al futuro

“L’incoerenza è la mia più grande coerenza”, dice Cecilia e la sua carriera, passata anche per il teatro, prima con Francesco Paolantoni in Jovinelli Varietà, poi con Paolo Rossi in Chiamatemi Kowalski, ne è la più coerente rappresentazione.

...continua
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Questo pezzo è quello a cui, fino ad ora e forse oltre, tengo di più.
In assoluto, con convinzione, polso fermo.
Un regalo, di un giorno. 
Il sorriso di anni.

I motivi si incrociano e danzano insieme, legando il mondo della musica agli affetti personali.

Cos'è la musica per me? No, non amo la materia nel senso che la farei.
Non ne sono in grado, non ho le capacità e non ho nemmeno mai avuto il desiderio di far ascoltare la mia voce gracchiante ad altri.

Amo la musica come parte integrante della mia vita, assicuro che è una scintilla costante, che non spaventa, ma accompagna, prende per mano, accarezza, fa risorgere, riflettere sulla bellezza di certi accostamenti.

Per me la musica è un mondo, il mio mondo, perchè sento di farne parte.
E' un mondo grande, non per eletti.
Ospita tutti.
E' una delle cose più democratiche dell'universo che pianta le sue differenze attraverso i gusti di ognuno.

Io con la musica scopro pensieri che non sapevo di avere.

E quali sono gli affetti personali? Cecilia, che è il bene grande di strade che una sera, più o meno per caso, passando per una discoteca si incrociano e si guardano negli occhi, mentre lei scende da un ring, dopo essersele date a colpi di Mp3.

A parole ci conoscevamo da prima.
Vie traverse, e-mail, consigli di semplicità.

Non lo so perchè tra noi è nato un poi che con altri non c'è.
So che in tanti momenti il pensiero della sua presenza mi ha portata in alto.
So che lei ha la risata più contagiosa del mondo.
So che lei è prima persona e poi grande artista.
So che se l'umiltà avesse un volto sarebbe il suo.
Ed è così che io l'ho sempre chiamata prima con il suo primo nome, Cecilia, e poi con il suo secondo, quello della nonna Syria.

Quando lei ha iniziato ad essere conosciuta aveva 18 anni e io 13.
E cantava quella canzone che dice: "è meglio un pugno in pieno viso che ci rimani steso" e io ne tirai uno dritto e convinto al naso di una compagna di scuola, sul pullman della gita.

Guardavo Cecilia non lo so in che modo ma mi ha sempre ispirata.
Lei è una giovane donna che non invecchia.
E poi è tutta disegnata.

Da Roma, sua amata città di nascita, ha piantato basi a Milano, anni fa.
E la prima volta che la incontrai fu in metropolitana, linea rossa, amendola-fiera.
Avevo 18 anni e stavo tornando a casa da scuola.

La seconda fischiettava un motivetto che boh ... , camminando per strada, vestita in quel modo che alcuni giudicano assurdo.
Tanto che Fabri Fibra per questo motivo la menziona in una canzona.

Un djset.
Navigli, Bond, un bancone e due parole.
Fino a catapultarsi insieme in macchina un pomeriggio verso i Magazzini Generali, vuoti e assolati, per girare un video.

Nel mezzo ad oggi custodisco due vestiti, tenuti insieme come cimeli di una guerra bella e vinta, la festa per i 15 anni di carriera (passata attraverso la musica, palchi piccoli e grandi, il teatro, un programma per bimbi, le scatole magiche, un cameo al cinema con Verdone, un tributo al movimento Indie ), i racconti di San Siro e di quell'emozione, le cose insegnate e fatte capire, senza saperlo, l'aver allestito insieme un mercatino delle favole, gli sms, gli abbracci stretti, i progetti di un viaggio, il regalo del mio nome tra i ringraziamenti di una vita.

Ci sono tante varianti e costanti nel vissuto di ognuno.
Questo pezzo, regalo ad un'amica, omaggio ad una voce, lo riproporrei tante volte quante la banalità di chi non prova a rinnovarsi mai.

Ringrazierò a mani giunte, sempre e per sempre, il flusso d'amore e circostanze che ci ha fatte incontrare.

Immagino un tavolo apparecchiato tra gli alberi di Vetralla, io, tu, Martina e Michela.
Fotografate di spalle a guardare oltre.
Come quando fotografi Alice, l'altra parte di te!



Syria si esibisce allo stadio di San Siro durante il concerto "Amiche per l'Abruzzo"