Luglio 2001 - Luglio 2011

Qui posso fare riflessioni più degne di altrove.
Qui posso permettermi di dire e di allungarmi.

Dieci anni passano, per tutti e tutto.
Che delle volte è come se ad essersene andato fosse uno ed uno solo di quei giorni.

Avere 18 anni a Milano, oggi, non so cosa sia.
So che quei dieci anni fa, a luglio, ero io ad averne così pochi, davvero innocenti di anni.

Ho iniziato il liceo in scuola statale ma dopo pochi anni sono finita in altre tre scuole, tutte, private.
Dove non esiste un sentire politico, un'idea che spacchi i muri.
Esiste certo il conformismo, al quale, anche io, lo dico tranquillamente, volevo appartenere.
Tipo "voler apparire che ad essere ci pensiamo domani".
(Ho amato le mie scuole ma per altri motivi e non questi).
Ero troppo ancora nulla per capire che il bello sta nel non essere il tutto che si vuole o vorrebbe essere.
Non ero sciocca, ero semplicemente un'insicura cronica.
Che temeva che nemmeno la propria ombra fosse all'altezza.

Quando andavo al Vittorio Veneto, il mio primo liceo statale e sofferente, esistevano i collettivi di sinistra, autogestioni e occupazioni.
Esistevano ragazzi cosi urlanti e convinti che io li stimavo per la radicalità di avere un'idea ed esprimerla, io quando ce l'avevo me la tenevo stretta nel cassetto e avrei voluto avere la loro forma, così decisa e così chiassosa.
Stimavo in particolare una compagna di classe, che se legge magari si riconosce, prima o poi credo di averglielo detto, brava in tutto, non più di altre, ma il giusto.
Sapeva tante cose e io mi chiedevo come si potesse sapere tutto quello a soli 14 anni.

Tante volte avrei voluto avere uno dei loro scudi immaginari.
Io non avevo la loro grinta, le chiavi a ciondoloni dai passanti dei pantaloni strascicati per terra, non avevo la conoscenza di termini strani, tipo COERCIZIONE, che suonavano belli e pieni.
Stavo al mio posto, trattenevo la voce.

Da qui me ne sono andata dopo due anni.
Meglio così, lo dico oggi.

A diciotto anni stavo già traslocando mentalmente nell'ultima scuola.
La quarta, tra tutte.
Sono stata nomade in questo, la cosa più gitana che ho fatto ( a parte una vacanza in Montenegro ).

L'estate dell'2001 segna per tante cose il mio spartitraffico.
E' anche Genova, il G8 di Genova, a segnare la separazione di qualcosa.
C'è necessariamente un prima e un dopo, Genova.

Nella mia testa separa me di prima da me di dopo.
Mi fa capire che non è peccato provare a dire-farsi sentire.
Mi fa piano e pianissimo iniziare a prendere peso, corpo, sostanza.
Mi regala una forza che non presenterò a tutti ma che non so perchè proprio allora.
E' da lì che riconosco di essere più vicina ai primi che ho incontrato e non ai secondi.
O meglio  mi fa capire che posso stare bene con tutti e due ma che devo far sentire le mie differenze e diffidenze.

Ho discusso con tante persone parlando di Genova.
Delle volte sono troppo radicale e radicata nelle mie posizioni.
Ma ho imparato ad avere un'idea e oggi la difendo eccome.
La sbandiero e la accarezzo, perchè sono io.

Genova non è stata solo Carlo Giuliani, genova è stata la Diaz ed è stata Bolzaneto.
Genova è stata una città fatta distruggere e patti non rispettati, tra manifestanti delle tute bianche e forze dell'ordine ( che delle volte storpio con la parola disordine ).
Genova è stata che il marcio c'è ovunque ma bisogna riconoscerlo, non farne un cumulo comune perchè tanto chi se ne frega e quindi pagano tutti.
Genova è stata una fortezza per i potenti e il terremoto per i comuni, che siamo noi, io e tu, noi, loro e tutti gli altri.
Perchè quel giorno avremmo potuto esserci pure noi ma non per questo avremmo meritato le botte e il sangue.
I denti rotti, gli sputi in faccia, le teste messe dentro ai cessi di una caserma per sentirci dare delle puttane.

Genova è stata tante cose e io ogni volta che ci penso mi arrabbio e mi attorciglio.
Ho sentito tanti racconti.
Ho letto libri.
Custodisco una raccolta di CD che passano le radio di quei giorni.
Che fanno sentire le cariche. Le marce. I manganelli.

Genova è entrata nella storia, un evento indimenticabile dal colore rosso.
Non è il rosso dei compagni, no, non ho mai amato esprimermi secondo un codice.
E' il rosso del sangue sparso e gratuito.
Non di Carlo Giuliani, ma mi viene da dire anche.
Questo però lo trovo un capitolo a parte.
E ho paura a toccarlo.

Io grazie e con il G8 di Genova sono cresciuta.
E io che non c'ero e chi invece c'era ce lo ricorderemo per sempre.

Ricorderò anche il frame di Piazza S.Babila a pochi giorni dalla fine della battaglia a mano armata.

Genova è lo spaccato di un momento che porta dentro, come fosse una vertebra dimenticata, il tessuto di anni ormai lontani in cui capitava che i giovani si facessero sentire e avessero idee forti e belle.
Il tonfo che c'è stato non mi farà mai ricredere sulle buone intenzioni che c'erano.
Doveva essere una danza corale, non vestita di nero, non scandita da marce.

Tutto il resto è storia.
Per libri, tribunali e memoria.

Tratto da "La ferita" di Marco Imarisio
"Nessuno ne risponderà, negli anni a venire. Eppure la carica di via Tolemaide segna uno spartiacque nella storia del G8. C’è un prima, con una gestione dell’ordine pubblico leggera – così discreta da lasciare spazio alla follia dei Black Bloc –, e un dopo, fatto della violenza che riempirà quel pomeriggio, la manifestazione del giorno seguente e la notte della Diaz. Mancano cinquecento metri all’arrivo del corteo partito dallo stadio Carlini e guidato, almeno nominalmente, dalle Tute bianche. Hanno in tasca un accordo con le autorità: raggiungere le barriere della zona rossa, farle scavalcare da un paio di manifestanti, tornare indietro. Sarebbe dovuta andare così, nessuno ne faceva mistero, ce lo aveva anche confermato il colonnello Tesser in quella esibizione di granitiche certezze al bar dell’hotel".


"Ci sono stati processi, anche Michael Covell è tornato a Genova. Alcune responsabilità sono state accertate. Perché vennero dati quegli ordini, chi li diede esattamente, non si è mai capito. Negli anni recenti mai come in quei giorni di Genova la democrazia italiana si incrinò, barcollò, perse senso e coscienza. Quelle ore furono di democrazia sospesa. Sono passati dieci anni, è ora di ripensare a quei giorni, di riparlarne, di assumersi responsabilità, da parte di tutti: di chi gestiva l’ordine pubblico e di chi, dalla parte di chi protestava contro il G8, non seppe capire che cosa sarebbe successo, non riuscì a controllarlo e a fermarlo".

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