Mi sto costruendo come fossi un playmobil


Ecco, quando faccio così non mi tollero.
Devo sempre rimanere impavida e razionale.

Sto cercando di ri-organizzare il tempo, che a tratti è un'impresa quasi più megalomane della ri-organizzazione del governo. 
Sto cercando di ri-organizzare la mente, che vuol dire uccidere i pensieri sciocchi, i ricordi inutili, le manie da ti metto le mani al collo e ti strozzo. 
I ronzii fastidiosi che inizi a muovere le mani all'aria come per scacciare cose, ma cose cosa?

E' un periodo di scelte.
Di nuove opportunità, balzi agli occhi, sale in zucca.

Ho rinunciato a talmente tante cose che adesso prendo tutto e me lo metto dentro agli occhi e alla testa e nelle tasche e in borsa no che c'è già un mondo inanimato da scoprire.
Questo è il mio momento e giuro che io questa frase non l'ho detta mai.
Mi sto costruendo come fossi un playmobil.

I consigli li ascolto poco. 
Dico poco che forse è meglio di nulla?
Mancano troppi passaggi di me.
Così faccio orecchie da mercante.
Sai che quando voglio so essere un mulo irritante.
Duro, dritto, fisso e immobile.

Mi sto costruendo tipo i castelli di sabbia al mare, che non li ho mai amati e che te li rompono sempre.
Ecco, spero di non rompermi.
Che a cadere sono abituata e a rialzarmi pure e magari lo faccio meglio di prima.

A 9 anni mi sono rotta i denti davanti aprendomi in spaccata e sbattendo il muso da bambinetta ipertesa e mai ferma.
A 14 anni ho iniziato a saltare gli ostacoli e ho smesso di saltare gli ostacoli.
Non ero un'atleta ma ero brava.
Forse perché ero leggerissima, pesavo pochi impressionanti kg.
Ma qualcosa è andato storto e ho perso anche quel piccolo primato che mi ero conquistata.
Non sono mai più riuscita a saltarne degli altri, di quelli fisici, e il mio professore, di cui ero invaghita, che se ci ripenso vado in iperventilazione, non ha mai saputo che mi ero fatta male da morire, da vedere nero per istanti, da non venire a scuola i giorni seguenti.
Ero inspiegabilmente così.
Una senza spiegazioni.

Non ho mai vinto nulla e niente.
Neanche un concorso di lettere al quale ho partecipato, scrivendo di te senza fare il tuo nome.
Non ho vinto la campestre, le partite a tombola, le scommesse di qualsiasi genere e natura, la gara di chi non sbatte gli occhi, il gioco di trattenere la risata, le sfide di cuore, l'imbarazzo di sentire la mia voce durante le interrogazioni nel silenzio della classe.
Solo una volta ho scritto il tema più bello di tutti.
Ma non c'era un premio in palio.
Parlavo di Foscolo, dell'Ortis e di Teresa.
Divagavo sul matrimonio.
Dicevo che bisogna scendere a compromessi che detto da me fa (stra) ridere.
Perché io non so scendere a patti.
Piuttosto esco dalla porta e non torno più.
Ma avevo 19 anni e potevo permettermi di dire tutto, di scrivere tutto, di stare zitta e non scrivere nulla, di prendermi ancora del tempo per crescere e di non crescere mai.

Sono passati 10 anni e per fare tutto c'ho messo troppo.
Finire il liceo, prendere la patente, terminare l'università.
Non ho colto gli attimi e ho sporcato i momenti.

Però mi sento vincente.
E' questa la cosa che più spiazza e mi riempie.
Mi sento piena e mai vittima.
In divenire, un divenire che è la metamorfosi più lunga, inspiegabile, difficile e divertente di ogni giorno fisico e mentale.

Se tornassi indietro cambierei tutto.
Perché quelli che fanno i fatalisti e dicono che doveva essere così mi fanno incazzare.
Perché se uno avesse la possibilità di correggere le piaghe della vita io non ci credo che vorrebbe di nuovo quella stessa, identica, gemella, che non si sposta di una virgola.

Io mi ribalterei, vorrei essere una ragazzina stronza e spavalda, bella da morire, piena di cose da dire, con gli occhi da cerbiatta che fa cascare tutti ai piedi.
Vorrei poi essere la più brava della classe, il punto di riferimento, la leader.
Quella con i vestiti più belli, i capelli più morbidi, che non si mangia le unghie per 25 anni come invece ho fatto.
Quella che ha il motorino, che sgomma al semaforo, che ascolta le canzoni in inglese e le capisce ad ogni passaggio, quella che ha sempre il culo parato e non chiede permesso.

Non lo so se a conti fatti qualcosa ho perso o se c'ho guadagnato.
So che quello che non ho avuto non lo potrò avere mai.
E so che gran parte di quello che ho perso non lo ritroverò.
So che le briciole che ho raccolto sono mie e basta, ringrazio me stessa e nessuno, fiera di aver fatto, con i segni alle ginocchia, tutto da sola, perchè in pochi o pochissimi hanno creduto in me.
E so che sono fiera delle mie manie.
Delle mie nostalgie.
Del mio puntare su un certo tipo di sostanza che non so che forma abbia ma non è apparente.

Non ho vinto ancora nulla e non so se accadrà.
Ma non avere mai perso l'idea di me mi fa pensare di poter diventare ciò che voglio.
Avere gli strumenti per crearsi a propria immagine e somiglianza mi fa pensare di essere sempre stata ciò che volevo essere e mi fa sperare a sorrisi di poter diventare altro, ma non lontana da chi sono, già.

Oggi ho tanto da fare.
Una volta avevo paura di rimanere senza nulla di realizzabile.

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